martedì 3 gennaio 2017

Il contributo del CIVES alle popolazioni colpite dal terremoto

Francesco Pastorelli
Tesoriere CIVES Perugia


Il CIVES - Coordinamento Infermieri Volontari Emergenza Sanitaria – è nato per rendere l’infermiere ancora più presente nelle situazioni di assoluto bisogno.

L’Infermieristica di Protezione Civile è una materia del tutto nuova nell’ambito assistenziale per questo abbiamo deciso di raccontare la nostra esperienza nell'assistere le popolazioni colpite dal recente sisma.

Eravamo in pre-allerta dal 24 agosto, pronti ad intervenire, con la consapevolezza che la faglia interessata avrebbe potuto innescare una serie di altri eventi sismici tali da colpire altre zone umbre. 


E infatti il 26 ottobre la terra trema di nuovo, il tempo rallenta per una manciata di secondi. È ormai sera, ma non tardi, non è notte piena, e le persone hanno fatto in tempo a lasciare le loro case, mettendosi in salvo da eventuali crolli. E-mail attivazione arrivata.

È mezzanotte inoltrata ma questo non blocca il meccanismo di allerta dei Soci e poche ore dopo già in auto con in dosso la divisa e il parabrezza in direzione Norcia. Lo stato d’animo di quei momenti non è descrivibile, c’è solo concentrazione, interrotta dal panorama che cambia, strade ferite da lunghe fenditure, pareti rocciose che hanno perso parte di esse, lasciandosi sfuggire parte della propria massa lungo pendii “Like A Rolling Stone”, come cantava Bob Dylan. Ecco Norcia. Davanti agli occhi si svela una cittadina ferita, ma più delle fredde pietre delle pareti, a colpire sono le persone che hanno subito tutto questo.



Un attimo di smarrimento poi di nuovo la concentrazione.

Siamo Infermieri, iniziamo a svolgere il nostro lavoro come sappiamo fare, prendendo visione dei bisogni assistenziale della popolazione, dei presidi e farmaci a nostra disposizione e di tutti i sistemi ausiliari che possono aiutarci a svolgere al meglio la nostra attività.

Per meglio comprendere come si svolge il nostro intervento nei territori colpiti dal terremoto, abbiamo identificato tre macro-aree, consequenziali tra loro ma per certi aspetti e in certi momenti anche sovrapponibili.


1 - Fase emergenziale primaria

Sono le prime ore dopo la prima scossa. L’attività di soccorso è svolta dalle unità multidisciplinari in turno. Si soccorrono tutte le persone facilmente raggiungibili, allontanandole dalle zone pericolose verso aree sicure predeterminate. Inizia l’attivazione di ulteriori unità.


2 - Fase emergenziale di ricerca e soccorso


I contorni di questa fase sono sfumati, poiché si sovrappone alla Fase 1 in quanto si inizia a cercare eventuali dispersi, a soccorrere eventuali persone
intrappolate o incarcerate tra le macerie. In questa fase sono presenti le unità di ricerca e soccorso: le Unità U.S.A.R. (dall’acronimo Urban Search And Rescue).


3 - Fase emergenziale di assistenza alla popolazione
L’emergenza sembra finita, tutte le persone sono in salvo, ma non è così. Le patologie croniche restano, mentre le patologie acute o “acuto su cronico” possono sempre colpire. Questa fase dell’emergenza è in assoluto la più lunga ed altrettanto impegnativa quanto le altre due fasi.

E così la difficoltà o il ritardo nell'approvvigionamento dei medicinali diventa un problema non sempre facile da risolvere, un controllo di routine diventa un controllo eccezionale, la soddisfazione dei bisogni di base si trasforma in una sfida continua.

Prestare assistenza e prendersi cura delle persone ferite nel corpo e nell'anima è difficile. Non riusciamo a trovare un altro aggettivo in grado di esprimere le difficoltà che si incontrano quando si opera in un contesto così precario.


Le emozioni rischiano di prevaricare la ragione, il freddo ti gela le mani, la mancanza di risorse facilmente accessibili disorienta. La stanchezza sfianca. Il desiderio di fare però resta.

Perché ascoltare, accogliere, consolare, rassicurare le persone in difficoltà non è solo un valore aggiunto alla nostra attività, ma è l’essenza stessa della nostra presenza in questi territori feriti. Perché curare le ferite del corpo è molto semplice, mentre per quelle dell’anima ci vuole molto tempo e le cicatrici restano, in chi è assistito e in chi assiste.

venerdì 6 novembre 2015

Lasciare un mondo migliore di quello che si riceve: la risposta Infermieristica in Protezione Civile

Sabrina Adami
Infermiera Centrale Unica 118 Regione Umbria

Quotidianamente sentiamo parlare di società contemporanea, società moderna, società della conoscenza, una tipologia di società all’interno del quale riscontriamo una continua accelerazione del cambiamento nei sistemi economici, culturali, scientifici e tecnologici. Dalla constatazione di questo stato delle cose, scaturisce una dimensione mondiale dei fenomeni educativi e formativi, senza dubbio attenta a garantire le condizioni di sviluppo, ma all’interno del quale nessuno è immune dal rischio di dilagare in quelle che Spinoza definiva “le passioni tristi”sintomo di scarsa capacità immaginativa e di incertezza globale, inducendo il singolo a ripiegare su se stesso, rinunciando alla costruzione di una società migliore.




Partendo da questa consapevolezza il Nucleo CIVES Perugia in collaborazione con il Collegio IPASVI ha promosso la Seconda Edizione del Corso di Infermieristica di Protezione Civile, come occasione di volgere lo sguardo verso nuovi orizzonti che permettano la comprensione del nuovo, orientando sempre più consapevolmente i livelli di responsabilità della professione infermieristica nelle scelte per un futuro civile e democratico. Il corso verte su di una iniziale riflessione su cosa sia l’emergenza e quali siano i suoi effetti, analisi offerta dall’Ingegner Sandro Costantini, Dirigente del Dipartimento di Protezione Civile della Regione Umbria, entrando anche nel merito strettamente tecnico dell’analisi dei rischi territoriali a cura di Barbara Toccaceli. L’emergenza si presta a numerosi chiavi di lettura: da un punto di vista individuale, il momento traumatico la cui soglia limite varia a seconda dei riferimenti culturali e dei paradigmi educativi di una certa popolazione ma anche, semplicemente in riferimento alle esperienze personali alla luce delle quali qualunque parola può evocare immagini diverse in rapporto al vissuto di chi la pronuncia o l’ascolta, questi argomenti sono stati trattati in base alla loro specificità da psicologi, antropologi ed esperti della comunicazione.




La condizione di emergenza determina anche una complessa situazione sociale che sovverte ordine e modalità di funzionamento, sino a quel momento consolidati con impatti a caduta sul sistema sociale,ed è proprio in questo scenario che si apre il sipario per l’agire di un infermiere esperto, colto, preparato ad affrontare le specificità assistenziali del momento catastrofico, evento in cui le competenze avanzate divengono una diversa e più ampia modalità della “presa in carico” del paziente e dei processi assistenziali che permetta risposte più incisive alle mutate esigenze del contesto sanitario. Nel riproporre un modello educativo in condizioni di emergenza e post emergenza si è quindi voluto rappresentare una forma di assistenza e cura per le persone, un processo di cooperazione, un’espressione di ricognizione della propria esperienza umana e professionale, altra caratteristica del modello proposto con questo corso di formazione è il favorire la possibilità da parte dei soggetti più deboli e fragili di emanciparsi da una condizione caratterizzata da dall’“impotenza appresa” ad un vissuto di autoefficacia, e di questo ringraziamo con particolare affetto e calore il collega Raffaele Goretti. Il corso si è svolto come nella prima edizione su sei giornate nei locali del Centro di Formazione della ASL Umbria 1, ottenendo un ottimo riscontro in termini di consenso e partecipazione da parte dei colleghi intervenuti, ai quali va il sentito ringraziamento del Nucleo CIVES Perugia. Oltre agli attori istituzionali che hanno arricchito in termini di contenuto e presenza come la Protezione Civile della Regione Umbria, il Servizio di Emergenza/Urgenza 118 Regione Umbria, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, l’Associazione Nazionale Ufficiali in congedo d’Italia, ai quali siamo doverosamente riconoscenti, un ultimo e fondamentale grazie al Collegio IPASVI di Perugia ed a tutto il Consiglio Direttivo i quali hanno dato corpo e gambe all’idea, o meglio al sogno dal quale siamo partiti.

sabato 31 gennaio 2015

Infermieristica nelle strutture campali, tornare alla vita nel post-emergenza



Sabrina Adami
Infermiera Centrale Unica 118 Regione Umbria
Vice presidente Nucleo CIVES Peruia



Negli ultimi anni abbiamo avuto modo di assistere ad un considerevole aumento di eventi emergenziali, la cui origine è rintracciabile in diversi ambiti: nella cronicizzazione di problematiche socio-politiche ed economiche, nello sviluppo tecnologico che porta a incidenti e disastri di sempre più ampia portata, nei mutamenti climatici che comportano una diminuzione della stabilità e della prevedibilità dell’ecosistema mondiale, nell’aggravarsi della forbice Nord-Sud del mondo. È spesso la combinazione di questi fattori a provocare l’insorgere delle situazioni critiche. Qualunque sia l’origine di questi catastrofici eventi essi vedono un massiccio impiego di personale volontario o meno, pronto a partire ed a fornire il proprio aiuto. Moltissime, infatti, sono le organizzazioni che lavorano nel campo dell’emergenza e della sua prevenzione ed altrettante sono le organizzazioni nazionali di Protezione civile. Alle più grandi organizzazioni si sommano una miriade di associazioni, ONLUS, ONG, che lavorano in tali ambiti. Un così ampio panorama presuppone quindi l’impiego di migliaia di operatori che dato il difficile ambito di lavoro e le precarie condizioni d’impiego, necessitano di una formazione in grado di fornire strumenti, capacità e competenze necessarie sia a rispondere prontamente e autonomamente all’insorgere di una crisi, che a far fronte al pesante impatto emotivo che tale lavoro comporta. Si considera emergente qualsiasi fenomeno naturale avente determinate caratteristiche e proprietà. Un fenomeno emergente compare all’interno di un sistema complesso, che evolve nel tempo ed è dotato di elementi di novità, è ossia descrivibile attraverso un linguaggio qualitativamente diverso da quello usato per descrivere il sistema e le sue singole parti; ha origine dal basso verso l’alto, è cioè l’alterazione delle singoli parti di un sistema ad essere causa dell’emergere del fenomeno; ha inoltre carattere di imprevedibilità in quanto non rilevabile dalle equazioni che descrivono le interazioni locali; e infine di irriducibilità non è ovvero direttamente rapportabile alle singole parti del sistema in interazione[1]. Questa è solo una delle diverse definizioni e spiegazioni dell’emergenza e quest’ultima rimane legata ad un ambito epistemologico; rapportandola invece a contesti sociali, naturali e psicologici la definizione acquisisce ulteriori caratteri connessi spesso alle conseguenze che gli stessi fenomeni comportano. L’International Strategy for Disaster Reduction – ISDR – organo dell’ONU che si occupa di riduzione dei rischi e risposta all’emergenza, definisce come disastro “the potential disaster losses, in lives, health status, livelihoods, assets and services, which could occur to a particular community or a society over some specified future time period”. E ancora l’americana FEMA – Federal Emergency Managament Agency, definisce “un disastro importante... qualsiasi catastrofe naturale o, indipendentemente dalle cause, qualsiasi incendio, inondazione o esplosione che provochi danni di gravità e dimensioni tali da richiedere assistenza in supporto alle operazioni dello Stato, degli enti locali e delle organizzazioni di soccorso per riparare i danni, le perdite, le difficoltà e le sofferenze”. Si possono quindi notare nelle varie formulazioni del concetto di emergenza la presenza di elementi ricorrenti quali l’insorgere di un danno e di un momento di crisi, dato dall’incapacità di far fronte all’evento emergenziale stesso e la conseguente mobilitazione di risorse strumentali e umane. Si intende per danno “ogni fatto, circostanza, azione, che nuoce a persone o cose sia materialmente che immaterialmente”, mentre per crisi una “fase della vita individuale o collettiva particolarmente difficile da superare e suscettibile di sviluppi. È quindi importante considerare non solo il tipo di evento, ma anche il livello di vulnerabilità di una società. Il termine “vulnerabilità socio sistemica si riferisce al possibile danno (…) che un evento esterno, che si manifesta in un tempo ristretto, può provocare ad un dato sistema sociale. Esso si riferisce anche alla predisposizione al danno che tale sistema presenta in termini di rischio o di scarsa capacità di risposta”[2]. Vulnerabilità che è strettamente legata anche alla capacità di tenuta di un sistema sociale cioè alla capacità di far fronte ad un’emergenza e di ridurne i relativi danni. Parlare di emergenza non presuppone quindi solo un’analisi delle tragiche conseguenze che essa può innescare, ma anche una più ampia valutazione dei diversi sistemi sociali, culturali, economici, politici e ovviamente naturali che sono Una volta scoppiata l’emergenza entrano in gioco ulteriori elementi come la durata dell’evento (un’esplosione sarà sicuramente più breve di un’inondazione), il livello degli effetti dell’evento (comunale, provinciale o regionale) ed infine il potenziale distruttivo. A livello istituzionale inoltre più l’evento ha effetti devastanti più il dissenso sulle azioni da intraprendere aumenterà[3]. Fermo restante il ruolo importante, essenziale e insostituibile che gli organi istituzionali di soccorso sanitario hanno nell’ambito nelle immediate ore successive alle catastrofi, è emerso dall’esperienza maturata nel terremoto dell’Aquila nel 2009, nell’Emilia nel 2012 e in altre situazioni emergenziali, d’accordo con i dati della letteratura, che il grosso delle prestazioni richieste già all’indomani della catastrofe, riguarda ambiti competenziali non strettamente legati all’urgenza. Le strutture sanitarie campali preposte all’intervento d’urgenza, ovvero i PMA (Posti Medici Avanzati), specializzati nel trattamento dei pazienti in condizioni critiche, non possono sopperire anche alle richieste di assistenza sanitaria di base e sociosanitaria di cui necessita la popolazione rimasta illesa e che iniziano ad esprimersi già a breve distanza dall’insorgere dell’evento calamitoso e si protraggono sino al ripristino dei servizi sanitari prestati in fase ordinaria. Le riflessioni che seguono sono state sviluppate a seguito di due importanti eventi formativi che hanno visto il Nucleo CIVES di Perugia,come organizzatore nel primo Corso di Infermieristica di Protezione Civile in collaborazione con il collegio IPASVI della Provincia di Perugia e La Protezione Civile della Regione Umbria, e come partecipante a piana titolarità nella gestione sanitaria all’interno Corso sulla Maxi Emergenza tenutosi presso la Caserma Gonzaga di Foligno il 25 Novembre 2014 organizzato dalla Croce Rossa Italiana Militare. 



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Dalla nascita della nostra professione ai giorni nostri, gli infermieri rimangono in prima linea nell’assistenza delle vittime di guerre, disastri ed emergenze sociali. L’Infermiere svolge “attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva” (art. 1, comma 1, L. 251/2000). Che si tratti di difficoltà nelle comunicazioni, carenze di risorse o personale, setting ostile, gli infermieri sono in grado di improvvisare la risposta e adattare le loro risposte assistenziali. Il pensiero critico e le competenze nel problem-solving degli infermieri,uniti alla loro flessibilità e adattabilità, completano il profilo di una delle professioni più versatili dell’intero panorama sanitario. Le calamità sono sempre più frequenti, e il loro trend è in inesorabile aumento per effetto stesso dell’aumento della popolazione globale, oltre che per il sempre maggior impatto dell’uomo sul territorio dove questo vive. La nostra assistenza è orientata alla persona, alla famiglia e alla comunità in maniera imparziale, senza distinzioni di genere o sociali e rispettosa dei valori delle persone. Il nostro intervento si rivolge inoltre alla promozione di comportamenti sani, attraverso opere di educazione e informazione. Il codice deontologico prevede esplicitamente la nostra messa a disposizione in caso di disastro e richiama in ogni tempo ad un utilizzo equo delle risorse disponibili. Nelle emergenze, la capacità d’integrazione tra diverse professionalità diviene fondamentale per poter garantire un coordinamento unitario. L’Infermiere coinvolto nel mondo del volontariato in casi di maxi emergenze dovrà integrare ai propri valori professionali alcuni principi in parte già espressi all’interno della propria deontologia professionale. La cooperazione può essere d’emergenza o orientata allo sviluppo (terremoti, alluvioni, carestie, etc..., progetti di sanità pubblica, salute materno-infantile, micro-credito, mitigazione di rischi, etc…). Diviene importante nel ripristinare i livelli essenziali di assistenza sanitaria alla popolazione integrarsi nel sistema di soccorso, acuire la capacità di fare “rete” con gli altri soggetti che dispongono di risorse sanitarie: sinergia e flessibilità dunque, due caratteristiche storicamente presenti nel patrimonio culturale dell’infermieristica. La nuova concezione del disaster management comprende non solo il soccorso e la gestione dell’emergenza, ma anche la formazione della comunità locale, affinché possieda strumenti e metodologie per la propria protezione, di fondamentale importanza quindi risulta l’organizzazione di periodiche esercitazioni di protezione civile con la popolazione e i soccorritori, necessarie per codificare un comune modus operandi affinché tra i soccorritori si parli una “lingua comune” quando sono chiamati ad operare congiuntamente. È dunque necessario che nelle emergenze sia tempo di passare da una medicina eroica ad una medicina che non ha bisogno di eroi, ma di specifiche professionalità ben integrate tra loro. attività rivolte alla ricerca e recupero della normalità, al sostegno e supporto delle popolazioni coinvolte in eventi drammatici per facilitare:
  • accompagnamento al ricongiungimento dei membri del gruppo familiare e al recupero delle funzioni vitali e sociali della comunità colpita dall'emergenza 
  • promozione delle risorse sociali che possono avere una funzione psicologica positiva verso il recupero della condizione di normalità 

È, dunque, prioritario favorire la massima azione di coordinamento e sinergia da parte delle centrali operative di riferimento, di protocolli operativi concordati, il tutto volto a garantire il migliore percorso assistenziale del paziente in emergenza-urgenza. È indispensabile la presenza di supporti tecnologici adeguati, tecnologie di comunicazione e di un sistema informatico e di una rete informativa attiva, il supporto di sistemi telematici di monitoraggio del paziente. In tema di sicurezza ed intervento in emergenza si parla di una scala gerarchica delle responsabilità. Abbiamo un sistema costituito, da un lato, da persone e, dall’altro, da tecnologie. La struttura di questo sistema è caratterizzata dalla divisione gerarchica del lavoro, dei compiti e delle funzioni. Il principio chiave che rende possibile il movimento del sistema e il raggiungimento degli obiettivi, in questo caso, di soccorso e salvaguardia dei superstiti di una catastrofe, è il ‟coordinamento di tutte le parti e le funzioni". Ci sono funzioni logistiche, di trasporto, tecnologiche, e così via. Un’organizzazione necessaria se pensiamo che per il suo buon funzionamento ‟sistemico" occorrono diversi fattori, diverse competenze, diversi livelli di monitoraggio che ne rendono possibile la flessibilità operativa, la fluida scalabilità e prestazione degli interventi, che devono essere diversificati a seconda della complessità dello scenario.


La formazione
La formazione è gestita a livello delle varie associazioni e, dunque, è caratterizzata da una grave disomogeneità che sarebbe preoccupante se il sistema fosse chiuso e non ci fosse un movimento a più livelli di competenza tale da promettere un rinnovamento, un miglioramento, un perfezionamento delle varie componenti, ma, soprattutto, della mentalità che è, poi, la prima a causare la disorganicità e le antinomie governative e normative delle regioni. Occorre sapere a chi fare riferimento, secondo i criteri di una gerarchia militare. Corollario, questo, fondamentale in tutte le professioni e prestazioni professionali, sia pure volontarie ed ogni professionista deve fare riferimento a un ordine, a un capo, a vari livelli. Nel caso di una maxi-emergenza il controllo è essenziale, la gerarchia è indispensabile. Sono le gerarchie che possono risolvere tutte le contraddizioni e incoerenze. Se in una regione piuttosto che in un’altra si segue una normativa, una data procedura e si capisce che essa è dotata di una particolare forza-efficacia, maggiore rispetto ad altre procedure applicate in un’altra regione, dovrebbe prevalere e trovare applicazione dovunque. Probabilmente, regione per regione, sarebbe meglio scegliere una equipe di formatori mista, sinergicamente organizzata, seguendo un modello integrato e pluri e polispecialistico che sia basato su singole prestazioni, diverse tra loro, ma aventi obiettivi comuni: sanitari adeguatamente formati per trasmettere le strategie per guidare, governare e controllare con consapevolezza, cognizione ed efficacia il percorso assistenziale dei pazienti in emergenza-urgenza, etc...; un ingegnere per consentire ai volontari di acquisire tutte le conoscenze e competenze idonee a comprendere come funzionano alcuni processi legati alle diverse fasi di gestione delle emergenze, per apprendere come si definisce un territorio nei suoi aspetti idrogeologici, di pericolosità sismica, etc...; uno psicologo delle emergenze per inquadrare gli eventi catastrofici dal punto di vista clinico, perchè non basta un sedativo per controllare o monitorare la sofferenza e la disperazione, ma occorre agire ed intervenire con bisturi invisibili per cambiare i concetti, far elaborare il trauma, evitare l’inerpicarsi di patologie psichiche invalidanti; e così via. In tutti i casi, aspetto decisivo, che dovrebbe essere riscontrato in ogni area e territorio per quanto concerne la formazione dei volontari e la scelta dei formatori idonei, è che: più tecnica ci si mette e più ci si distacca emotivamente e si controlla il paziente. Nella tragedia si può perdere la casa, ma non si perde ciò che siamo. Nel senso che reagiamo allo stress a seconda della struttura di personalità e dei disturbi di personalità che abbiamo; secondo come siamo abituati ad esprimere le emozioni e a vivere; secondo quanto siamo capaci di gestire, controllare e sopportare la frustrazione; secondo quanto siamo resilienti; secondo quanto eravamo sereni prima dell’incidente, di quanta capacità di problem solving e creatività avessimo, di come fossimo portati ad interagire con il prossimo o fossimo, invece, antisociali e misantropi; secondo quanto fossimo capaci di confrontarci e trovare in questo scambio una fonte di salvezza e un motivo di speranza

L’assistenza alle persone non autosufficienti in tempo di pace…
È da tempo, una delle emergenze sociali non adeguatamente affrontate nel nostro Paese, peraltro uno dei Paesi più longevi al mondo, le risposte assistenziali sono inadeguate, sia per le risorse complessive disponibili, quanto per le modalità di organizzazione e utilizzo delle stesse. Secondo l’ISTAT, sono circa due milioni gli anziani in condizione di disabilità che vivono in famiglia, ed oltre 300.000 gli anziani ospiti nelle strutture residenziali, un dato destinato ad aumentare in modo cospicuo nei prossimi anni, in conseguenza dell’ulteriore invecchiamento della popolazione. Oggi vivono in Italia un milione e 600 mila ultra 85enni e si prevede che tra 10 anni saranno 2 milioni e 400 mila. Il percorso di presa in carico dell’anziano non autosufficiente riguarda una parte di questa popolazione e, in particolare, coinvolge tutte quelle persone che presentano un “bisogno assistenziale complesso”, ovvero non autosufficienti in almeno una attività di base della vita quotidiana, fino alle persone allettate in modo permanente. Sempre secondo i dati Istat, sono oltre 900.000 le persone coinvolte (circa l’8% della popolazione anziana). Un bisogno che necessiterebbe di una corretta valutazione delle risposte, sia nella loro entità, quanto nella loro efficacia. Basti pensare che il numero delle badanti o assistenti famigliari si aggira, secondo stime accreditate, intorno alle 800.000 unità. L’aumento dell’incidenza delle patologie cronico degenerative rende oggi sempre più necessaria l’individuazione di modalità innovative di supporto assistenziale, attraverso le quali rispondere in modo efficace ai bisogni di salute della popolazione perseguendo, contestualmente, la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. All’interno del concetto di patologia cronica afferiscono, in realtà, molteplici aspetti per i quali si rende necessaria una risposta complessiva ed integrata ai bisogni del paziente, che sono di natura sanitaria, socio-sanitaria ed assistenziale. In questo senso, il territorio diventa l’ambito elettivo di intervento per la gestione delle cronicità,nella misura in cui l’assistenza territoriale consente al paziente, da un lato,di ricevere l’assistenza di cui necessita, rimanendo nel proprio ambiente e mantenendo le proprie abitudini quotidiane e, dall’altro, consente una riduzione del tasso di ospedalizzazione e un più appropriato impiego delle risorse del SSN. L’evoluzione nel tempo della demografia, dell’epidemiologia e della medicina richiedono ora nuove conoscenze,metodi e mezzi di prevenzione primaria,ma richiedono soprattutto la formazione: è necessario conoscere i comportamenti, gli atteggiamenti e i valori della popolazione e si deve saper comunicare con le persone affinché cambino consapevolmente il loro atteggiamento verso i problemi della salute. La medicina di base e quella ospedaliera non possono isolatamente risolvere i complessi problemi sanitari di una società moderna e, perciò, riconosciuta la complementarità dei rispettivi ruoli, devono stabilire delle forme di collaborazione tra una medicina di base, da organizzare, ed una medicina ospedaliera, da rivedere nel suo ruolo e nelle sue funzioni. Il Servizio sanitario nazionale, infatti, ha bisogno di un nuovo modello culturale, ancor prima che organizzativo, di cui la medicina di base e quella ospedaliera rappresentano le due metà tra loro complementari ed indissolubili. In un contesto fortemente orientato verso il sapere specialistico vi è la necessità di una visione integrata ed olistica dei problemi di salute, delle singole persone e della comunità a cui esse afferiscono. Tale compito è affidato anche alle cure primarie, in particolare alla medicina generalista e alle altre componenti dell’assistenza convenzionata, in una logica di rete. I principali obiettivi ad esse affidati sono:

  • promuovere il benessere e affrontare i principali problemi di salute della comunità. 
  • prendere in carico i pazienti in modo globale e completo. 
  • sviluppare le competenze e valorizzare il ruolo del personale infermieristico. 
  • favorire la continuità assistenziale. 
  • concorrere ai processi di governo della domanda. 
  • misurare il mantenimento e il miglioramento dello stato di salute del singolo e della comunità. 
  • favorire l’empowerment dei pazienti. 

Le cure primarie, nelle quali viene affidata al distretto la governance del sistema per l’erogazione di livelli appropriati. Per gli assistiti che vengono dimessi dall’ospedale e presi in carico sul territorio, la continuità delle cure deve essere garantita, già durante il ricovero, da un’attività di valutazione multidimensionale che prenda in esame sia le condizioni cliniche sia quelle socio assistenziali del paziente ai fini di definire, in accordo con il MMG e durante il ricovero stesso, il percorso più idoneo in rapporto ai servizi esistenti. più appropriato per il paziente. La gestione della cronicità in ambito post emergenziale richiede la definizione di una rete assistenziale che integra le varie componenti istituzionali e non, può avvalersi di posti letto territoriali/servizi residenziali gestiti da MMG e personale infermieristico, anche in qualità di case manager,ma anche delle famiglie, delle associazioni, delle istituzioni profit e non profit. Sul lato dei principali meccanismi di riproduzione sociale si osserva come la maggior parte delle funzioni avvengano in seno alle famiglie, senza alcun supporto pubblico, né sul piano finanziario, né sul piano di offerta di servizi. 



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“There aren’t soft skills and hard skills, in fact what we call soft skills are the harvest skills[4]" Negare la presenza di queste dimensioni significa negare le difficoltà e gli ostacoli che l’infermiere incontra nel lavoro e che si riflettono inevitabilmente anche sull’intera struttura organizzativa. Le organizzazioni devono quindi farsi carico di questi elementi strutturando, ad esempio, percorsi formativi che facciano del gruppo e del singolo oggetto e soggetto di formazione o che aiutino la persona a sviluppare consapevolezza e resilienza attraverso percorsi assistenziali, autobiografici e narrativi. Grazie quindi ad un’azione congiunta di politiche di gestione delle risorse umane, di interventi formativi, di sostegno e supporto si può configurare una produttiva sinergia in grado sia di spingere il professionista infermiere ad un continuo miglioramento, sia di fornire un punto di riferimento ed appoggio alla persona e nella quotidianità a maggior ragione nei contesti emergenziali.